Ultimi della propria specie

-La Forra di Noa-

Il viaggio per le terre di Stagshade continuava senza sosta.

Senza guardarsi indietro e liberi dai propri doveri, i cinque sopravvissuti sfidavano l’ostilità di un mondo senza dio, leggi o senso della misura; mappa alla mano, solo una cosa li guidava: Rethel, l’unico posto che Elias potesse ancora chiamare casa. Dove la giustizia della Baronia non avrebbe potuto afferrarli, e come valieri nel cielo blu, si sarebbero librati nella Roggia per non fare mai più ritorno.

Quando il sole era a favore, i cinque galoppavano veloci come il vento, Suennel in testa ad una gara a cui solo lei partecipava, col sorriso sulle labbra. Era in competizione col mercante che li seguiva assorto a distanza di sicurezza, dove poteva ignorare le attenzioni della figlia dell’apocalisse senza brontolarle in faccia. 

Se gli capitava di rimanere sul sentiero, il gruppo si imbatteva in carovane di mercanti, prospettori della Baronia e talvolta bande di cacciatori di taglie che gli sfilavano accanto a respiro trattenuto e sguardo affilato, le mani rigorosamente sul calcio delle pistole. Era in casi del genere che il ranger deglutiva la propria spensieratezza e li guidava a valle attraverso passi poco battuti nei quali la fauna selvaggia dettava le regole. Carcasse di carrozze fumanti costeggiavano la via; McNaughton chiedeva perdono alla sua dignità quando si univa a Maud e Gin nel depredarle di qualche tozzo di pane o portafogli scampati alle razzie dei banditi, mentre Elias disperdeva le iene coi colpi del fucile da cecchino.

Vecchi impianti industriali sorgevano tra i crepacci alla stregua di rovine tribali; le torri che una volta avevano estratto carbone e risorse naturali giacevano storte ed erose dalle tempeste di sabbia, di fronte ai Precipizi dall’Andeòn. Un paio di colpi di chiave e due bulloni allentati da parte di Suennel, ed ecco che quelle torri cadevano e divenivano ponti per il proseguio del viaggio.

Al calar della notte, quando gli capitava di avere voglia, Strivedust strimpellava qualche vecchia canzone roseniana a patto che il resto di loro se ne stesse zitto e non commentasse il suo rozzo talento. Alla quinta volta che Mallory gli aveva chiesto di suonare l’Inno di Tjaard, il mercante aveva preso la chitarra e l’aveva gettata in un burrone. Il tutto sotto la disapprovazione di McNaughton e le risate di Suennel, impegnata a fabbricare munizioni in vista dei prossimi nemici.

Nei primi due giorni, l’alchimista indicava loro quali piante fossero commestibili e quali andassero adoperate per i medicinali prima che Maud le andasse a raccogliere; Strivedust si occupava della manutenzione della Carovana Storta e Suennel regolava il binocolo. Elias prediligeva i picchi più alti per continuare a gettarsi sguardi alle spalle alla ricerca degli uomini di Roche.

In comunione l’uno con l’altro, i cinque vagavano dove la terra sembrava convogliarli con le sue curve rocciose e le vie sferzate dalle brezze aride dei deserti, e non appena si fermavano ecco che le fiamme azzurre di Maud rischiaravano la sera. Intorno a quei falò, Manahem raccontava storie della frontiera e degli animali che la abitavano, delle grandi ali dei Ruu e dall’astuzia dei Ranact, piccoli roditori che correvano nelle rotolacampo; Brian ricambiava con dei pettegolezzi di città e vecchie leggende, mentre Maud rosicchiava spiedini e Suennel li ascoltava riuscendo a malapena a celare lo stupore per la cultura dei due compagni. Solo Strivedust li osservava in disparte con la sigaretta rovente in bocca, lo sguardo orientato verso la luce del Cammino.

[…continua]

Per leggere il racconto completo scarica il PDF qui